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Fra il Sud del mondo e Roma: il giornalismo missionario oggi

In questa Italia accusata di troppo risentire dell’influenza della Chiesa Cattolica Romana sono stupita e allo stesso tempo contenta di poter assistere alla partecipazione di mezzi di comunicazione cristiani ad una conferenza internazionale di giornalismo. I giornali, le radio, i siti cattolici si occupano di un tipo di informazione considerato di nicchia il cui apporto al mondo più ampio dell’informazione è spesso ignorato o tralasciato. Gli ospiti invitati dal Festival Internazionale del Giornalismo occupano, all’interno del campo della comunicazione religiosa, un settore ancora più specifico: quello del giornalismo missionario.

Contatto diretto con le popolazioni del Sud del mondo e notizie di prima mano. Mentre i reporter che vanno sul campo faticano spesso ad ottenere questi “beni di prima necessità” e capita loro di affidarsi ad organizzazioni religiose presenti in loco, questa è una delle grandi ricchezze fra le mani dei giornalisti missionari. E’ pur sempre vero, come mi insegnano padre Emil Blaser, fondatore di Radio Veritas in Sud Africa e padre Giuseppe Caramazza, fondatore del Catholic Information Service for Africa in Kenya, che il loro primo scopo è quello di occuparsi di informazione e educazione  a livello locale, non tanto di agire come fonti di informazione globale. Tuttavia, vista la loro appartenenza ad una realtà mondiale, come quella della Chiesa Cattolica, è anche naturale che in qualche modo possano agire da “ponte comunicativo” fra il Sud e il Nord del mondo.

E’ stato proprio su quello che immaginavo fosse un non sempre facile rapporto fra Chiese locali del Sud e organi Vaticani che ho interrogato padre Blaser, padre Scaramazza e Stefano Femminis, direttore della rivista Popoli.     

Il passaggio da antico a nuovo Israele (da ebraismo a cristianesimo) è stato caratterizzato, fra le altre cose, anche da un cambiamento nella definizione che il popolo di Dio dà di se stesso. «Gli ebrei tendono a definirsi escludendo i non ebrei – mi spiega padre Blaser – mentre l’atteggiamento della Chiesa, del nuovo Israele, è nato come inclusivo. La Chiesa di Roma oggi però tende a tagliare fuori le persone e ad avere un atteggiamento di esclusione.» 
La questione si presenta decisamente sotto una luce particolare quando si parla di giornalismo.  In Sudafrica c’è un’emittente televisiva e radiofonica, EWTN, che si contraddistingue nettamente dalla Radio Veritas di padre Blaser: «A noi piace dare spazio anche alle questioni scottanti come il crimine, il sesso o la corruzione, che sono piaghe concrete e quotidiane della nostra società. EWTN, invece, è una stazione che segue una linea di “cattolicesimo stretto” e non affronta i veri temi del Sud Africa.»
Guardo il sacerdote e penso al valore aggiunto che per me ha l’affermazione «Io sono aperto alla verità, da qualsiasi parte essa provenga, che sia dai cristiani, dai musulmani, o da chiunque altro» sulla bocca di un prete. 

Padre Caramazza va direttamente al nocciolo della questione del rapporto con il Vaticano. Credo che le sue origini italiane (è nato a Verona nel 1960) lo mettono in grado di capire al volo la mia domanda. « Il Vaticano gestisce abbastanza bene il campo della comunicazione. E’ in settori come quello della liturgia, invece, che si sente in maniera chiara la paura delle gerarchie rispetto alle Chiese locali.» Viste le rivoluzioni mediatiche degli ultimi 20 anni e, soprattutto, l’entrata massiccia di internet nella vita delle persone comuni, continua padre Caramazza, «il Vaticano non può più essere protetto dai media come lo era prima.» E chiunque si occupi di comunicazione, questo lo vede, o dovrebbe vederlo, chiaro.

Passo dai mezzi di informazione con sede al Sud a Popoli, una rivista italiana che ospita contributi dai paesi di missione. Intrattenendomi qualche minuto con il direttore della rivista prima della presentazione del libro di Zucconi, scopro, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, che loro sono quelli che percepiscono meno il gap fra gerarchia vaticana e Chiesa locale e qualsivoglia tipo di pressione. Femminis parla di uno «spazio di libertà all’interno del quale la nostra rivista si muove».
Ciò che invece vive con più difficoltà è il rapporto con il pubblico che è molto influenzato dagli altri media. «Durante il recente viaggio del Papa in Africa, i mass media parlavano solo del Papa. Nessuno ha parlato della realtà delle Chiese africane. La Chiesa che il lettore/spettatore conosce è quella del Papa mentre in Popoli si cerca di mostrare che c’è anche un’altra Chiesa con una grande capacità di rinnovarsi.»

Regna in me la speranza che sia da parte della Chiesa che da parte del pubblico ci possa essere un interesse rinnovato nei confronti di questi strumenti comunicativi potenti. I punti a favore del giornalismo missionario, a mio avviso, sono molti: giornalisti professionisti, dati raccolti attraverso la quotidianità condivisa con le persone, una rete interna molto ben sviluppata.
Intanto, la loro presenza ad un Festival del Giornalismo è un segno positivo del cambiamento dei tempi. 

Elena Dini

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  1. SuperMan - ... Спс ...

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