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Aldo Moro: un “punto irriducibile di contestazione e alternativa”

Alla presentazione del libro “L’attualità di Aldo Moro giornalista, negli scritti giornalistici (1937-1978)” curato dal giornalista Antonello Di Mauro, erano molti gli studenti presenti. Pur non essendo stati testimoni diretti del delitto che ha più traumatizzato la vita politica e l’opinione pubblica del nostro paese, erano attentissimi a carpire qualche riflessione in più riguardo al sequestro del 16 marzo ’78 e dei 55 giorni di prigionia. Inchieste, commissioni parlamentari, ricerca storica si sono abbondantemente soffermati su presunti “intrighi di Palazzo” a monte del sequestro e sulla linea politica morotea del compromesso politico e delle “convergenze”. Nell’incontro di questa mattina l’attenzione è stata invece catalizzata sul ritratto dello statista pugliese e sulla ricca pubblicistica a partire da Azione Fucina, dove scrisse fin dal ’37, sino alle collaborazioni con Il Giorno. Enzo Quaratino, introducendo gli interventi, ha evidenziato l’attenzione pedagogica di Moro al mondo giovanile così come viene fuori dalla scrittura e dalla passione all’insegnamento universitario. Gli studi di Di Mauro, infatti, mettono in luce un insegnante ed un educatore prima che un uomo di governo, desideroso di inculcare nei suoi studenti l’imperativo categorico della verità e la ricerca del dialogo, della discussione. Intellettuale e uomo di diritto, giurista e padre di famiglia, Moro viene fuori a tutto tondo nella sua versatilità, strenuo praticante della lezione kantiana che presuppone la riflessione e il ragionamento a monte di ogni azione, soprattutto se politica. Lo storico Ferdinando Treggiari si sofferma sulla “scrittura prigioniera” di Moro dei giorni del sequestro, sofferta ma lucida, decifrabilissima nella richiesta della liberazione, mentre all’esterno lo Stato sceglieva di non sacrificare le ragioni di Stato. Anche Agnese Moro, figlia del politico pugliese, tiene a sottolineare come gli interessi primari del padre fossero in realtà due, la politica e i giovani («che l’hanno salvato dall’abitudine e dalla sclerosi», dice). Uomo semplice di famiglia colta ma non abbiente, credente e «secchione», come Agnese ama ricordarlo, in ogni intervento lasciava trasparire il bisogno di comunicare con la società e di partecipare alla costruzione di una “democrazia dell’umanità”. Non senza amarezza Agnese ne ricorda l’assoluta solitudine, non solo quella legata ai pochi metri quadrati della prigione, ma l’emarginazione esistenziale e politica conseguente alle sue scelte: il compromesso con il Pci di Enrico Berlinguer, la scelta della discussione politica in nome del bene civile gli costarono caro, gli guadagnarono l’isolamento, dice. Quello che deve sopravvivere, commentano quasi all’unanimità i relatori, è l’insegnamento, per le nuove generazioni, ad essere attori del dramma e della crisi. Si deve rifuggire dall’essere “spenti spettatori” della realtà e scegliere la partecipazione, ricominciare a nutrire speranza e fiducia nella società civile, nella possibilità del cambiamento e della concertazione, proprio come Aldo Moro con risolutezza aveva implicitamente affermato quando si batteva per una “politica etica” e risolutrice delle diversità e delle rappresentanze politiche, fino a subire le estreme conseguenze di una tale scelta.

Valeri Mastroianni

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