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L’hacker che ha fatto vincere Obama

Foto: Paolo Visone

Chissà cosa avrebbe detto chi fece costruire tra il ‘200 e il ‘400 il Palazzo dei Priori, nel vedere Harper Reed tenere una conferenza nell’austera Sala dei Notari. Si può dire senza riserve che il premio per la fila di attesa più lunga del Festival Internazionale del Giornalismo l’abbia vinto proprio l’evento tenuto dal barbuto trentacinquenne del Colorado, “probably the coolest guy ever” (probabilmente il ragazzo più fico di sempre), come si definisce. Un gigantesco ego pareggiato solo dall’enorme mole di genialità dell’ormai ex direttore dell’apparato tecnologico della campagna di rielezione di Obama, che con le sue operazioni sui big data, viene considerato l’artefice della vittoria alle presidenziali dei democratici.

 

Foto: Paolo Visone

Entra tra gli applausi Harper, introdotto dal caposervizio di Wired Italia Guido Romeo e inizia a parlare e far scorrere la sua presentazione a una velocità di un novello Usain Bolt. Rapisce il pubblico, si autodefinisce un “hacker buono”, gli racconta di quando inventò il crowdsourcing con la compagnia di abbigliamento Threadless e di quando i membri dello staff del presidente Obama andarono a cercarlo per proporgli la guida di un apparato tecnologico composto da 40 persone per la campagna di rielezione. Come se lo spiega Harper? Con un proverbio giapponese: “Mochi wa mochiya – Per comprare le frittelle di riso vai da chi ti vende le frittelle di riso”. “Avevamo 18 mesi di tempo per organizzare una campagna – racconta Reed – e volevamo essere certi che tutto funzionasse”.
“Abbiamo creato la piattaforma Narwal, partendo da una Api, chi sa cos’è una Api?”. Aron Pilhofer, direttore delle interactive news al New York Times, alza la mano in platea. “In sostanza – prosegue Harper – gli strumenti creati sono stati quattro: lo strumento per le telefonate per contattare gli elettori e convincerli ad andare a votare, le app per cercare volontari per la campagna che andassero a bussare alle porte di possibili nostri elettori, Dashboard, lo strumento che gestiva i volontari in ogni quartiere e gli diceva a quali porte andare a bussare e infine lo strumento di gestione dei contributi per la raccolta fondi, che ci ha fruttato 300-400milioni di dollari”.
Tutto questo è stato possibile grazie al lavoro di Harper sui Big Data applicato alla politica, unico esempio del genere su un’elezione di così larga scala. “Non potevamo fallire. Testavamo tutto all’infinito per poter arrivare alle elezioni e non fallire”. Non hanno fallito.
L’eccentrico hacker descrive Obama come una “persona normale, perché anche lui nelle tre volte in cui ci siamo incontrati, mi ha preso in giro per la mia barba”. Ed è a lui che va attribuita la vittoria, non alla tecnologia, perché “la tecnologia discendeva direttamente dai valori del Presidente, non si può prendere la stessa tecnologia e applicarla ad un altro candidato. Su Romney non avrebbe funzionato”.
Sul futuro del giornalismo Reed non si esprime; preferisce farlo sul presente: “Io mi informo qui – dice indicando una lista di siti composta tra gli altri, da Twitter, Reddit, Anonimous, 4chan. Hanno tanti buchi da riempire, tanti lati negativi, ma insieme possiamo migliorarli, dobbiamo farlo”. L’altro consiglio? “È importante che si introduca la matematica nel giornalismo… guardate Nate Silver! Questa è la vendetta dei nerd!”, ride. Tanti giornalisti rideranno un po’ meno.

Andrea Alfani
@alfaniandrea

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